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È un giardino piccolo, quello di Zeba, con un cespuglio di rose in un angolo, ma è il suo giardino. E mai avrebbe immaginato di trovarvi, in un mattino di sole, il corpo senza vita di suo marito. E così proprio lei, moglie innamorata e madre generosa, si ritrova accusata di aver compiuto il crimine che rovinerà per sempre la sua famiglia. È così che funziona, in Afghanistan. Zeba, per lo shock, non è in grado di spiegare dove fosse quando l'omicidio è stato compiuto: e, in un attimo, diventa lei l'unica colpevole possibile. Colpevole di avere, forse, ucciso suo marito, ma soprattutto di non aver saputo badare a lui, come se aver perso per sempre l'uomo che amava fosse una sua colpa. Arrestata e imprigionata, Zeba finisce così nella "casa senza finestre", una sorta di prigione per sole donne, chiamata Chil Mahtab, quaranta lune, il tempo minimo che una donna condannata deve passarci. Un posto dove finiscono le donne come Zeba, dietro le quali gli uomini nascondono la propria debolezza; o quelle troppo pericolose, che non stanno zitte; o, ancora, quelle la cui vita è stata rovinata in nome di un onore che non appartiene a nessuno, di sicuro non agli uomini. Con loro, Zeba stringerà amicizie e legami: perché c'è più aria nella casa senza finestre che nel mondo là fuori.