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In una lettera dell'ottobre 1912, mai inviata a Emilio Cecchi, Scipio Slataper manifestò la chiara consapevolezza di essere autore di «una cosa nuova», con la quale interpretò l'esigenza di rinnovamento che incalzava l'Italia e l'Europa del tempo. "Il mio Carso" lo aveva impegnato dal gennaio 1910 alla tarda primavera del 1912, ma era stato frutto di scrittura discontinua, costretta tra gli impegni fiorentini alla redazione della «Voce» e di studente all'Istituto di studi superiori. Decisivo per la densità emotiva espressa è stato il travaglio seguito al suicidio, nel maggio del 1910, dell'amata Gioietta. Determinante alla riuscita anche il periodo di panica immersione nel Carso sloveno a Ocizla, nell'estate dell'anno seguente: qui solo con se stesso Slataper si provò in un aspro corpo a corpo con la pagina scritta. L'edizione critica raccoglie e confronta autografi inediti, abbozzi sconosciuti al grande pubblico e una redazione di mano dell'autore precedente circa sei mesi la stampa. I materiali, passati indenni attraverso le vicende belliche del secolo scorso, permettono di ricostruire il laboratorio dell'autore e svelano particolari che egli volle tenere segreti escludendoli dall'edizione. Un glossario finale guida alla comprensione dei termini desueti, stranieri o di origine dialettale.