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Cosa reclama l'interrogativo "come giudicare"? In che senso chi giudica è al contempo giudicato dal suo stesso giudizio, commisurato incessantemente con l'esigenza di dover giudicare? Tale questione si piega in due margini che si bilanciano e si intersecano reciprocamente. Da un versante la legge assente. Punto di vista negativo che corrisponde a una condizione positiva, al vantaggio di un vincolo, di una obbligazione: bisogna trovare la legge. Dall'altro versante, il diritto non coincide con la legge di natura: riguarda normative che la facoltà di giudicare si prescrive da sé. Questi aspetti si accordano e rilanciano reciprocamente nel rifiuto del principio di totalità in favore della regola della pluralità. Il che mette in gioco la questione della non derivabilità dei canoni del giudizio. Oppure, detto in altri termini: al fine di evitare la caduta nel totalitarismo e nella barbarie, il movimento del giudicare non può far altro che rinunciare ad imporsi ai suoi oggetti secondo un modello dato in anticipo che si tratterebbe solo di applicare. Con la prefazione e un testo di Jean-Luc Nancy.