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Nel panorama del romanzo italiano dell'Ottocento, Giuseppe Rovani (1818-1874) occupa un posto di assoluto rilievo grazie ai "Cento anni", ambizioso affresco di un secolo di storia milanese. Per inquadrare la sua figura, la critica si è soffermata a lungo sul rapporto con Manzoni e sulla testimonianza di Carlo Dossi, che promosse Rovani a maestro degli Scapigliati. In opposizione a quest'ottica duplice, il saggio prende in esame l'intera produzione narrativa dello scrittore - tre drammi e sette romanzi - riconducendola alla temperie romantico-risorgimentale, grazie all'analisi puntuale dei testi e al confronto con i modelli coevi di maggior successo (Guerrazzi, Grossi, d'Azeglio). Dopo i travestimenti rinascimentali o medievali degli esordi, confusi e contraddittori, Rovani approda con i "Cento anni" al romanzo storico contemporaneo, rileggendo le dinamiche socioculturali del recente passato alla luce dell'esperienza di Napoleone, da cui ricava anche la sollecitazione al riconoscimento del talento individuale dell'artista. Sono tutti pittori, musicisti e letterati, i protagonisti delle sue opere: sono il frutto di un'emancipazione dai vincoli gentilizi resa possibile dalla rivoluzione napoleonica, ma ormai preclusa alle generazioni post Waterloo. Ai lettori orfani del generale francese, Rovani offre il riscatto di una fantasia romanzesca, riproposta dal primo all'ultimo libro: la lotta contro i padri tiranni.