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Il martirio del carcere a vita - per duro monito di potere e d'intoccabile regalità - inflitto ad un bracciante meridionale divenuto sguattero, quindi cuoco, autodidatta, mazziniano fervente, poi anarchico e mancato regicida, é allucinante. È la storia di Giovanni Passannante che, nel 1878, aveva attentato alla vita del Re Umberto I causandogli solo un leggero graffio, ma che lo porta ad una "condanna esagerata e sproporzionata". È la storia aberrante di "un piccolo grande uomo torturato fino a farlo impazzire", che turba e commuove Giancarlo Pagliai, il quale la pone a significativo cappello d'apertura di questo pregevole lavoro.