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Il rapporto tra Martin Heidegger e la politica è un tema al centro della discussione da molti decenni ed è tornato di grande attualità dopo la pubblicazione dei primi Quaderni neri, dal 2014 in poi. Tuttavia, non si tratta soltanto di una questione biografica, ma di un insieme di domande relative al suo pensiero, alla riflessione filosofico-politica che ne è derivata e, da ultimo, alle fortune della tradizione ermeneutica cui Heidegger ha dato i natali. Questo libro propone un percorso nell'intreccio - talvolta labirintico - del dibattito, ricostruendo le posizioni di Reiner Schürmann (1941-1993). Interprete tra i più originali della tradizione heideggeriana, Schürmann indaga la relazione con l'orizzonte problematico della politica e della filosofia pratica, ben prima dell'uscita dei Quaderni neri, con posizioni che si riveleranno particolarmente feconde. Il cuore della sua riflessione è l'idea che la realtà sia retta da fondamenti metafisici che determinano il pensiero, l'azione e gli edifici valoriali: fondamenti che possono però essere sovvertiti in chiave anarchica. Quello di Schürmann è insomma un "pensiero dell'anarchia", intesa in senso etimologico come assenza di fondamento o, meglio, come scoperta dei punti di rottura presenti in ogni paradigma assoluto. In questo vasto programma Schürmann riserva il primo posto alla prassi: all'attiva decostruzione dei principi che crediamo immutabili, ma che in realtà sono storicamente condizionati. Più che la teoria, è proprio la pratica a offrire una prospettiva liberante ed emancipativa che combatte la violenza della metafisica.