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Questo libro non nasconde nulla. Fin dalle prime righe il lettore capisce che non ha scampo, si parla proprio di quello: del dolore mentale. In tutte le sue versioni e interpretazioni, innescato dalle cause più varie, come compagno di strada fin da bambino, oppure incontrato lungo i tornanti della vita adulta in genere lungo il sentiero della passione amorosa che il più delle volte lo precede e ne rappresenta l'anticamera con l'incantesimo dei suoi piaceri. L'autore suggerisce implicitamente di non distrarsi affatto, ma di godersi la solitudine dolente e creativa dedicata all'immaginazione, alla nostalgia, al sogno, alla fantasia a occhi spalancati che guardano il vuoto accettando fino in fondo la delusione e il rimpianto, la rabbia e la costernazione per l'ingiustizia subita, la perdita insensata, la rottura del progetto incompiuto. Per settant'anni aveva semplicemente sbagliato domanda: non doveva chiedersi se poteva essere felice, ma se era possibile vivere senza amore. E allora avrebbe capito che c'è sempre la possibilità di un raggio di luce, di un po' di calore e risate anche nell'assurdità di alcune esistenze. Ero venuto per dirgli proprio questo ma non ce n'era più bisogno: folle o no che fosse, l'aveva capito da solo. "Un libro [...] onestissimo come il suo autore. Se si è costretti a vivere in un tunnel la cosa da fare è arredarlo, dice Francesco Casali, e penso abbia ragione da vendere" (dalla prefazione di Gustavo Pietropolli Charmet).