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Nel Diario veneziano Acheng porta all'estremo limite il suo sguardo «taoista» sul mondo. All'inizio del Diario, passando dalla descrizione della Los Angeles bruciata dalle violenze razziali al ricordo di un episodio della Rivoluzione culturale, lo scrittore conclude con disarmante ironia: «Nei grandi disordini c'è sempre un grande silenzio». La forza segreta di questo libro, che si colloca in un preciso genere letterario - detto biji (letteratura in forma appunto), divenuto popolare in Cina a partire dal periodo delle Sei Dinastie (265-589) - sta proprio nella svagatezza e concisione quasi algebrica dello stile. La simpatia per il meticciato e l'ostilità ai nazionalismi. Lo spirito anti-aristocratico. L'insofferenza per le corporazioni degli intellettuali di ieri e di oggi, nella varietà cinesi e occidentali. L'ironia sull'antico e sul moderno, e anche sul postmoderno», sono alcuni dei nodi attorno ai quali si coagula la visione del mondo di Acheng.