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Quante verità esistono? E perché la Giustizia arranca nel dimostrare il reale andamento dei fatti? Questi gli interrogativi che animano il romanzo con cui nel 1926 Ferrero avvia la sua produzione letteraria, conclusasi dieci anni dopo nell'esilio ginevrino. Le due verità sono quella "vera" e quella "giudiziaria", che si oppone alla prima laddove prevalgono interessi, corruzione politica e ingiustizie sociali. Attraverso il racconto di un particolare errore giudiziario che bene evidenzia questa contrapposizione, Ferrero ci offre uno spaccato della società borghese romana di fine Ottocento e descrive figure e dinamiche di grande interesse e attualità. Protagonista del romanzo è un giovane di classe agiata che, scoperte le ipocrisie della giustizia, cerca di reagire impegnandosi a difendere la verità "vera". La narrazione delle difficoltà che incontra e delle inquietudini che matura, si mescola a una riflessione profonda sul senso della vita individuale e collettiva. Le debolezze della giustizia riflettono infatti sia la decadenza morale e politica di un'epoca, sia l'ambivalenza della natura umana, lacerata dall'indecisione di lottare contro il potere o asservirsi a esso.