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Nella sua Idea del "Theatro" (1550) il maestro di memoria e di scienze ermetiche Giulio Camillo scrive di una macchina di sua invenzione che, oltre a ricoprire una vera funzione "magica", accoglieva l'intera mole dello scibile umano, ordinato secondo immagini capaci di suscitare e trattenere la nostra "affezione" e pronto per il riuso e l'improvvisazione. Una macchina da lui pensata per gli intellettuali e i retori, ma le cui influenze saranno molteplici e impreviste. In questo studio se ne inseguono le tracce: tra la Serenissima e la Milano di san Carlo, tra pittori "all'improvviso" (come Tintoretto) e cortigiane oneste (già avvicinate, con molte ragioni, alle attrici), tra il teorico d'arte Giovan Paolo Lomazzo, principe di un'Accademia davvero trasgressiva come quella della Val di Blenio (di cui uno Zanni è parte fondante), e alcuni personaggi straordinari, come Flaminio Scala, Isabella e Francesco Andreini, comici Gelosi che credono in una nuova, più alta, forse anche magica funzione del teatro.