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Questo saggio ci mostra, usando ben note categorie di Rudolf Otto, che l'amato cantato dai lirici persiani è sentito come un vivente testimone del Deus fascinans, mentre il sovrano cantato dagli autori epici è sempre un vicario in terra del Deus tremendus; ovvero, in termini propri della teologia islamica, potremmo anche dire che il sovrano testimonia l'aspetto di Maestà ('jalâl'), mentre l'amato venuto "da cielo in terra a miracol mostrare" è un vicario della Bellezza ('jamâl') divina. L'uno e l'altro, nella percezione dei poeti persiani del medioevo e del loro pubblico, additano sistematicamente a un Oltre, a un potere e a una bellezza che sono ben presenti in questo mondo, ma non sono di questo mondo. "La letteratura persiana apparirà, alla fine, un conturbante doppio di quella occidentale, un gemello diverso, che non solo possiamo tentare di comprendere, ma che ci fornisce anche uno specchio in cui guardarci e riconoscerci" (C. Donà).