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Di tutte le annunciazioni che popolano la storia umana e le sue tradizioni, al semiologo non interessa la fonte in sé, il numinoso che all'umano si rivolge; interessa il modo in cui uomini e donne hanno utilizzato i materiali del mondo per forgiare i significanti del divino. Ovvero il modo in cui hanno immaginato, e creduto con fermezza, che tali materiali divenissero d'un tratto appannaggio di una divina intenzione di comunicare, parole annuncianti. Al teologo spetta immaginare la ricostruzione della totalità a fronte della quale si dipana il messaggio divino nella sua vicenda immanente. Al semiologo tocca invece raccogliere e inventariare queste tracce: in quali circostanze gli uomini e le donne hanno raccontato e raccontano di un loro incontro con il divino? Utilizzando quali segni? Piegandoli a quali necessità comunicative? Il compito successivo è analizzare questi segni, con gli strumenti della metodologia semiotica, per capire se si possano in qualche modo catalogare, suddividere in tipologie, distribuire in atlanti che, al di là delle differenze d'origine storica e confessionale, manifestino dinamiche comuni nella costruzione e nell'elaborazione del linguaggio.