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«Il valore dell'individuo sta nella libertà»: in questa frase di don Battista Testa è racchiusa la ragione del suo impegno di uomo e di sacerdote che lo portò a collaborare con i partigiani per contribuire alla liberazione del Paese e salvaguardare la vita delle persone. Fu quella stessa ragione che lo indusse a schierarsi contro le violenze che insanguinarono il dopoguerra e ad essere protagonista nella battaglia politica contro il pericolo bolscevico promossa dal cardinale Schuster - «O con Cristo o contro Cristo» - rispondendo per le rime, e anche con le sberle, alle calunnie degli avversari che ne chiesero il trasferimento. Figlio di contadini della campagna trevigliese, don Battista Testa studia e si forma durante l'episcopato del cardinale Schuster. Ordinato prete nel 1940, si trova a vivere i primi anni del suo ministero mentre la Chiesa deve confrontarsi con la guerra e i regimi totalitari. Nel 1942 è inviato come coadiutore a Cinisello. Nell'agosto del 1943 stringe un patto con Pietro Vergani, futuro comandante delle Brigate Garibaldi della Lombardia, per combattere insieme i nazifascisti. Dopo l'armistizio nasconde soldati italiani e prigionieri stranieri, guida l'attività dei cattolici all'interno del CLN locale, coordina la distribuzione di sussidi alle famiglie dei renitenti e dei partigiani, organizza l'invio di rifornimenti alle brigate di montagna. Nella primavera del 1944 entra in contatto con la Brigata Gerolamo, comincia a collaborare con i Servizi Segreti alleati e conosce il capitano Neri (Luigi Canali) e Gianna (Giuseppina Tuissi), due dei protagonisti delle fasi più drammatiche e controverse della Resistenza. A liberazione avvenuta, don Battista diventa un personaggio scomodo per i comunisti. Critica gli omicidi avvenuti nella sede della 119ª brigata SAP e l'esecuzione sommaria delle camicie nere locali. Si batte per chiarire alcuni misteri della Resistenza - l'oro di Dongo e la scomparsa di Neri e di Gianna - che coinvolgono alcuni partigiani di Cinisello Balsamo.