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Come quella del grande Confucio, anche la vita del maestro Meng (conosciuto come "Mencio" in Occidente) fu scandita, oltre che dai progressi nella sapienza, da innumerevoli viaggi alla ricerca di sovrani capaci di governare i loro sudditi in accordo con i divini precetti della filosofia. Mencio morì intorno al 289 a.C., ormai all'apice della sua fama, dopo aver incarnato il tipo perfetto del sapiente i cui pensieri erano direttamente originati dall'esercizio della virtù e dall'infallibile comprensione della natura umana e dei suoi limiti. La parola di Mencio non cade mai dall'alto di qualche impervia regione metafisica. Il filosofo vive in costante contatto con i problemi e le aspirazioni dei suoi simili, ed esercita le sue prerogative alla maniera di un medico che ripara le storture e le cattive abitudini del pensiero. Eliminati tutti gli inutili orpelli, nel cuore dell'uomo deve regnare la carità, e la sua strada è quella della giustizia. Questo principio di autorità nella sua essenza è identico per il singolo capofamiglia e per l'imperatore che veglia sulla felicità del suo regno. Un regno ben governato, a parere di Mencio, è quel luogo in cui l'esempio di chi sta in alto si diffonde come un benefico contagio fino agli strati sociali più umili. Tanto più efficace sarà l'autorità del principe, quanto più questa non discenderà dalla minaccia della forza e dal terrore delle punizioni, ma da un processo di riforma interiore condotto in nome della più assoluta sincerità.