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I primi secoli della modernità politica, in modo peculiare nei paesi romanzi rimasti fedeli alla Chiesa di Roma, risultano profondamente segnati dal lascito del Segretario fiorentino. È un mondo pluriverso non riducibile a una sola formula, ma che sembra muoversi lungo due vettori fondamentali: il realismo politico, inteso come analisi della "verità effettuale", e una tensione utopica, che si protende verso una politica del futuro e verso un dover essere che però sempre si misura con la tragica e tumultuosa realtà storica cinque-seicentesca. Questi due aspetti, compresenti nell'opera del Segretario, assumono dimensioni e accezioni peculiari nei diversi autori, da Guicciardini a Montaigne ai gesuiti a Campanella a Pascal a Vico, proprio affinando il loro pensiero alla lima machiavelliana. Comune e prevalente, al di là delle specifiche tesi, è una ricerca di nuove forme del sapere politico, che sapessero rispondere alla rivoluzione culturale rinascimentale e alla sua dura critica agli assetti disciplinari, ideologici, filosofici, scientifici ereditati dall'epoca medievale.