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Un canto di fedeltà quasi dolente, rivissuto dall'autore come una sorta di "passo d'addio" verso la sua vecchia Brancaleone, ben lontana dalla "volgarità del mondo in cui siamo, superficiale, corrotto, consumista, stoltamente tecnologico". Carteri, a suo modo, è un "principe dell'esilio" - scrive Cesare Cavalleri, e "riscopre la terra dove è nato, che per Pavese era "confino", sia pure pittoresco e accogliente - come un Eden dal quale ancora e per sempre surgere linfa". Un amore carnale che si dilata nello studio degli autori più amati: Pavese, Costabile, Scotellaro, Calogero e, soprattutto, Alvaro. Arricchiscono il libro le pagine dedicate ai maestri che l'hanno fatto crescere, Vito Teti e Pascquino Crupi, riferimenti costanti di resistenza morale e di speranza feconda in una terra sempre in stato d'assedio, che ama poco la sua storia ed è sempre più vittima delle sue secolari tradizioni.