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La teoria libertaria si sviluppa e si perfeziona nella seconda metà del Novecento, principalmente negli Stati Uniti. Uno dei cardini di tale teoria, la legittimità di qualsiasi scambio consensuale, venne particolarmente enfatizzato, a fini "controculturali" e antisistema, negli anni Sessanta e Settanta, in concomitanza con lo sviluppo dei movimenti di contestazione. Tematiche quali la liberalizzazione delle droghe o dei costumi sessuali, o le istanze antireligiose, per la loro natura trasgressiva e provocatoria, tendevano ad occupare il centro della scena, generando però in tal modo una indebita torsione della dottrina. Capisaldi della quale sono anche l'individualismo, la centralità della proprietà privata e del mercato, l'antiegalitarismo, la valorizzazione del merito, tutti aspetti che risultavano offuscati nella versione hippy del libertarismo sessantottino. A partire dagli anni Ottanta, alcuni esponenti del pensiero libertario acquisirono piena consapevolezza di tale divergenza, culturale e politica, e, insoddisfatti della deriva New Left del libertarismo americano, diedero vita alla corrente di pensiero successivamente definita "paleolibertarismo". Questi autori propongono un sostrato valoriale di segno opposto: una società libertaria può affermarsi solo se a livello sociale si diffonde sempre più una mentalità che, al contrario, recuperi la moralità borghese. Di questa corrente culturale fa parte Hans-Hermann Hoppe.