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"Si tratta di una poesia, che riflette ciò che si nasconde nell'abisso e nel silenzio e lo eleva, nella sua armonia compositiva, a leggerezza di volo e ad altezza di pensiero. Marisa Pelle, così, è demiurgo e voce recitante dell'esistenza. L'essenziale accadere della parola diviene onda, liquidità sorgiva, che avvolge, soffio della prima pronuncia, che precede e segue la lingua. Per Pelle vivere e scrivere sono il medesimo gesto: lei li compie entrambi con discrezione, nascondendoli, quasi, per salvarli. [...] Con la singolarità della sua energia immaginativa, del suo linguaggio colto ed originale, della sua esperienza di vita, dei suoi aneliti, del suo sguardo compassionevole questa poeta, ancora una volta, ci introduce all'oltrelingua di una pietas, che è anche quieta luce." (dalla prefazione di Merys Rizzo)