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Con una precisione degna di uno storiografo, Artur Spanjolli colloca la storia di "La sposa rapita" in un remoto passato dell'Albania, quando le donne erano schiave degli uomini e le figlie merci di scambio per matrimoni convenienti, quando gli affari di cuore si risolvevano armi alla mano, nel divampare di passioni primitive, faide familiari e morte. Lo scrittore che ci ha fatto conoscere la religione della famiglia e degli avi in "Cronaca di una vita in silenzio", offrendoci il ritratto della stirpe dei Cialliku come esempio di civiltà e di buone usanze, intende narrare l'altra faccia della medaglia, quella selvaggia e barbara di due famiglie in lotta. Spanjolli racconta un episodio di sangue, attinto dalla cronaca locale, che trasforma in una favola amara dai molteplici significati.