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Le polizze assicurative claims made costituiscono una paradigmatica espressione di quel «contratto strutturalmente squilibrato» a favore di una delle parti, di cui la nostra giurisprudenza è sempre più spesso chiamata a occuparsi. Questo schema contrattuale, originariamente sorto per rendere finanziariamente sostenibile la copertura di danni «lungolatenti» senza, tuttavia, compromettere la funzione assicurativa, è stato, ben presto, trasformato in un contratto fortemente sperequato a favore dell'assicuratore. È il caso delle c.dd. claims made «impure» le quali, limitando la copertura assicurativa ai soli eventi dannosi che siano, a un tempo, causati e denunciati nel limitato periodo di durata del contratto, sono in grado di ridurre sensibilmente, in alcuni casi persino azzerare, il rischio di attivazione della polizza. Al cospetto di un quadro normativo che disciplina solo parzialmente il fenomeno, è stata la giurisprudenza a individuare le coordinate attraverso cui operare un ragionevole bilanciamento degli opposti interessi delle parti, con il precipuo scopo di evitare che il danneggiato, a causa di «buchi di copertura» di origine contrattuale, non venga indennizzato.