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"È colpa mia (in vero non ne vedo alcuna) se un racconto è finito in questa raccolta poetica. Riversando su carta il proprio immaginario, è come se Pintacuda abbia preso via via coscienza di sé e parallelamente del suo scrivere, sottoponendo i propri lavori - nella ricerca dell'essenziale, del nucleo - a una sorta di processo d'essiccazione che l'ha condotto dal traslato - sebbene in lidi assai prossimi al vissuto - del testo narrativo inserito all'ostentata nudità - mi riferisco alla sua intimità emotiva - delle ultime composizioni. Sia nell'uno che nelle altre ho riscontrato le medesime forti, sanguigne passioni che costituiscono il cardine attorno a cui ruota coerentemente - quanto dal presente libro contenuto. Scrivo questo prescindendo dalle intenzioni dell'autore, poiché un'opera prescinde pressoché sempre dalle motivazioni che hanno spinto il suo creatore a realizzarla. Mentre - aggiungo io - non prescinde mai dal suo portato. Leggere è un po' stare al gioco; consiglio in questo caso di starci: non ci sarà motivo di pentirsene" (Marco Del Bucchia).