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In principio è il verbo: Dio prende parola per condurre un uomo disperato verso una possibile salvezza. Dal progressivo suo monologare si apprende però che Dio - ammesso sia Dio colui che sta parlando - pretende più di quanto l'uomo possa dare, guidandolo attraverso una serie di rinunce fino alla rovina della sua esistenza. Tentato il suicidio, Anselmo De' Contrasti finalmente riesce a liberarsi di questa voce ma non cancella saggiamente quanto essa avrebbe potuto significare. Perciò sceglie prima di scontare le proprie colpe in prigione e quindi di divenire bibliotecario in un monastero (voluto il rimando a "Il nome della rosa" di Umberto Eco anche nell'episodio del suicidio di uno dei frati): Anselmo proverà in ogni modo a mantener desta la propria speranza nella fede e nel bene, continuando a studiare e a pregare. Ma questo Dio diviene nella ricerca disperata dell'uomo anche il simbolo di una verità, fatta talvolta di contrasti, che egli continua a perseguire con tutto se stesso nella cultura vista quale ultimo baluardo capace di arginare il dilagare della violenza e del non senso dell'esistenza, anche quando la fede dell'uomo inizia a vacillare.