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La prima infanzia, misteriosa e muta, costituisce nella seconda metà del Settecento oggetto privilegiato di indagine filosofica; di una filosofia che portava sull'umano uno sguardo nuovo, e ne scrutava l'origine per scoprine una definizione più autentica. La comparsa, al confine dei boschi d'Europa, di ragazzi che nei boschi erano cresciuti senza contatti umani, e che sembrava potessero nascere di nuovo, quindi offrire ex novo all'osservazione il percorso cangiante dello sviluppo infantile, prometteva la risposta a molte domande. Con la fine di un mondo e del secolo dei Lumi, il rifiuto di quella filosofia si espresse anche in campo psichiatrico, e proprio attraverso le figure dei ragazzi selvaggi, sottratti all'oblio in cui erano caduti solo per essere oggetto della diagnosi di idiozia. Le domande sull'infanzia, sul processo di crescita, inquietante perché?oscuro nel suo movimento di trasformazione invisibile ma insieme radicale, vennero rimosse. L'idiozia si connotò da subito come malattia infantile ma, pur attraendo nella sua definizione un ampissimo spettro di anomalie, non lasciava alle specificità dell'infanzia nessuno spazio. Un percorso teorico pieno di ombre, cesure, occultamenti, ma anche per questo fortemente sollecitante.