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Enrico Pea, romanziere, poeta e drammaturgo, e Giovannino Guareschi, umorista e narratore, giornalista e illustratore, vignettista e critico del costume: qui uniti perché incarnano nel '900 modalità diversamente "popolari" di uso della favola, della narrazione favolistico-fiabesca. Pea declina la favola in un modo che potremmo dire cognitivo ed etico-formativo: essa è il necessario orizzonte esemplare, l'avvicinamento alle ombre/ luci della vita umana, lo sconfinamento visionario negli enigmi delle cose e dell'esistere, percezione chiara dell'eterno conflitto fra Male e Bene. Guareschi pratica una letteratura umoristica intrecciata con gli sviluppi dei nuovi media e perciò "popolare": capace di unire in trasversale un pubblico ampio per varietà di ceti, età, livelli di comprensione. Tale letteratura predilige la forma della favola, dell'apologo, delle vignette satiriche che la accompagnano e a volte la costituiscono tout court, per esprimere una posizione agonistica, critica, verso una realtà politica e sociale che non soddisfa: il Fascismo e la sua propaganda, oppure l'Italia repubblicana in cui le forze politiche sembrano sempre più inclini al compromesso.