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José Lezama Lima è considerato una delle figure più influenti della letteratura latino-americana del XX secolo. La sua prosa è enigmatica, evocativa piuttosto che dichiarativa, barocca, a tratti scomposta; la sua scrittura, libera da ogni modello argomentativo prestabilito, percorre cammini espressivi inediti, volti a cogliere la complessa polifonia del pensiero umano. Attraverso tre saggi di estetica, scritti tra il 1957 e il 1968, si prova a ricomporre l'atlante di riferimenti, suggestioni, riflessioni sul tema dell'uomo di fronte alla meraviglia. Dall'esperienza dei cronisti delle Indie, uomini che ebbero il privilegio di vedere la natura inaudita e meravigliosa del Nuovo Mondo che si dischiudeva ai loro occhi, prende l'avvio una riflessione sulle possibilità di descrivere ciò che è nuovo e straordinario, su come raccontare l'incantesimo del mondo. La meraviglia si offre quindi agli occhi dell'uomo come una circostanza magica, un contesto, un locus caratterizzato dalla straordinarietà. È un mondo ancora da conoscere, «un paesaggio dove la natura non è ancora cultura» quando non esiste un canone da imitare o una tradizione retorica di cui potersi avvalere.