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«Tutto è disperazione in questo dipinto»: così un anonimo recensore descrive la "Scène d'un déluge" di Anne-Louis Girodet, esposta al Salon del 1806. L'opera rappresenta, nel mezzo di un diluvio, una famiglia arrampicata su due rocce e spettacolarmente disposta lungo una diagonale: il suo destino dipende da un ramo che sta per spezzarsi. Un soggetto "estremo" che desta scandalo, suscitando la riprovazione di una parte consistente del pubblico che dinanzi alla tela si sente costretto a volgere indietro lo sguardo: dipinto definito inguardabile, terribile, disperato, inverosimile, eccessivo, virtuosistico; accusato di aver distrutto il bello ideale, di aver infranto ciò che è lecito in pittura. Attraverso una capillare lettura di fonti e recensioni all'opera, e alla luce del contesto storico e filosofico tardo-settecentesco, l'autrice propone un'interpretazione globale dell'opera, giungendo a definire da un lato il significato esistenziale della tela, profondamente legato alla visione tragica di una umanità senza Dio in una natura e una storia avverse, e dall'altro lato il suo messaggio estetico: il "Déluge" è infatti un vero e proprio manifesto contro i limiti che Gotthold Ephraim Lessing nel suo celebre "Laocoonte" (1766) imponeva alle arti visive. Un'audace dichiarazione, dunque, della libertà dell'arte di accogliere ed esprimere il male della condizione umana.