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Il problema non sorge nel mondo, nella serie degli accadimenti che via via lo segnano; il problema è il fenomeno stesso del mondo ed il fatto che esso sia conoscibile nelle parole di quel suo abitatore che è l'uomo. È questa la questione da cui l'intera "Critica della ragion pura" di Kant è agitata: soltanto che in essa il sapere rivolto ai modi del proprio operare diviene riflessione sul suo inestinguibile limite. Che significa abitare questo limite?, ecco il nodo che il libro sviluppa. E lo fa attraverso l'interpretazione dei luoghi più significativi dell'opera kantiana, sollecitati anche da prospettive filosofiche diverse, Heidegger ed Hegel su tutti, e compresi però a partire dalla loro radice più propria: una ragione umana finita. Questa l'impronta che assegna un indirizzo futuro alla "Critica", un destino peraltro già prefigurato nei suoi luoghi cruciali, dove il rigoroso esercizio del pensiero critico giunge ad esibire il margine nichilistico del sapere.