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Il volume riapre l'importante questione della didascalia drammaturgica, talvolta affrontata dagli studiosi di teatro in modo parziale. Analizza il fenomeno non solo nella prospettiva del testo scritto, ma anche in quella di un'approfondita verifica storico-critica dell'espressione performativa. La focalizzazione su un periodo della nostra drammaturgia, il primo trentennio del Novecento, anziché restringere il campo consente di renderlo esemplare, restituendo un panorama attraversato da proposte innovative sui piani della composizione testuale e della scena. Le didascalie degli autori scelti come casi emblematici (tra i quali D'Annunzio, Marinetti, Pirandello, Bontempelli, Viviani, De Filippo, Campanile) risultano non meno importanti dei dialoghi, anzi evidenziano spesso e meglio il disegno previsto per la messinscena. D'altra parte il saggio percorre una linea teorica che vede nella didascalia non solo un mezzo per "governare" lo spazio scenico, utilizzando i codici spettacolari a disposizione, ma anche un punto di convergenza di alcuni tratti tipici della contemporaneità: paradigmi estetici mutuati dal cinema e dalle arti visive, sfumature o ambiguità psichiche, indicazioni sonore e ritmiche, metafore liriche ed evasioni ironiche. Al di là del rigore scientifico, il libro si offre inoltre per novità dell'impianto e scorrevolezza della scrittura come strumento utile a studenti ed esponenti del mondo del teatro.