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Nella prima metà del XVI secolo Francisco de Vitoria riprende alcuni temi della tradizione giuridica aristotelico-tomista proponendone una sintesi strutturale coerente. Per Tommaso, come per Aristotele, il diritto è "ciò che è giusto", il che significa ciò che è dovuto da un soggetto a un altro, dalla cui volontà dipende la decisione sull'antigiuridicità dell'eventuale inadempimento: volenti non fit iniuria. "Diritto", dunque, sembra arguirne il teologo spagnolo, è sia quel che è dovuto a un altro, sia la facoltà di quest'ultimo di esigere quel che gli è dovuto o di rinunciarvi. È per questo che la teoria del diritto elaborata da Vitoria è necessariamente anche una teoria dei diritti, i quali implicano sempre corrispondenti doveri giuridici e ne sono correlativamente implicati. Muovendo da questa ipotesi interpretativa, il libro ripercorre le lezioni e le relectiones dedicate da Vitoria alle questioni del "giusto prezzo", dei diritti d'uso delle cose comuni e di proprietà, della guerra giusta, dello ius gubernandi e del diritto di resistenza, al fine di verificare se, e fino a che punto, questa struttura teorica e concettuale vi sia effettivamente sottesa.