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La colta e affascinante Diana, futura contessa di Barcellona, si nega all'amore, a suo dire origine di ogni male. Tre nobili sono in lizza per la sua mano. La conquisterà uno solo di essi, servendosi del proprio ingegno e dell'aiuto di un servo scaltro. La strategia vittoriosa è semplice quanto efficace: fingere disinteresse per le grazie della nobildonna e pungolarne l'amor proprio, poiché spesso desideriamo colui che ci rifugge. "Il disdegno col disdegno" (1654), capolavoro di Agustín Moreto, ha la precisione di un meccanismo a orologeria: il suo ritmo leggero, come di minuetto, è scandito dalle entrate e dalle uscite dei personaggi e impreziosito da una palpabile venatura sensuale e da una spiccata suggestione visiva. La commedia miscela con sapienza motivi già utilizzati nel teatro secentesco, ma il risultato della creazione moretiana presuppone un loro cambiamento di sostanza e si risolve in una grazia che il pubblico e i lettori hanno mostrato di apprezzare nei secoli; più di un drammaturgo, da Molière a Gozzi a Schreyvogel, ha voluto ricrearla.