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Lo spaesamento verbalizzato di un migrante, alla ricerca di nuove identificazioni dopo aver superato la soglia. Il folle grido di un omosessuale ancheggiante. Indigeni in gabbia, ammaestrati e pronti all'esportazione, o relegati ai margini del quadro, quale tappezzeria che fa ambiente. Grandi seduttori perversi che assediano giovani imberbi o ingenue fanciulle, coinvolgendoli in pratiche a dir poco riprovevoli: lettura, musica elettronica, sodomia. Puri corpi che non (si) dicono ma che unicamente fanno, Soggetti ineffabili che, nella loro unicità irriducibile, incarnano il mistero dell'essere, rivelando le intermittenze del cuore e i paradossi dell'intimità. Di questo eterogeneo coacervo di figure e pratiche filmiche, "Nient'altro da vedere" dà conto, proponendo un viaggio inedito e appassionante attraverso le rappresentazioni delle omosessualità e delle alterità etniche nella cinematografia europea del Novecento. Con un'amplissima rete di esempi e alternando riletture di film popolari come "La patata bollente" o "Giovani mariti" ad analisi di opere misconosciute e sorprendenti, Manuel Billi giunge a a elaborare un modello teorico articolato e sincretico che disvela le forme di sguardo e di riconoscimento, i pregiudizi e i saperi socioculturali naturalizzati (stereotipi, cliché) che presiedono alla configurazione narrativa di personaggi Altri (A), ovvero non Eterosessuali Europei (EE).