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Il presente lavoro si propone due obiettivi: valutare se ( e in quali termini) è da ritenersi concettualmente valida la distinzione tra il diritto ed il suo esercizio nella applicazione alle cause di esclusione del bonum prolis; verificare in secondo luogo se è ancora utile ed opportuno servirsi di essa nel contesto attuale in cui l'enfasi è posta sia dal Magistero che dal Codice vigente sulla "donazione di sé stessi" e non più sulla trasmissione dello ius in corpus. L'approfondimento è condotto in prospettiva storica, giurisprudenziale e dottrinale. L'attenzione rivolta agli sviluppi post-conciliari del più ampio dibattito sull'essenza del matrimonio permette di cogliere gli aspetti personalistici della distinzione compresa alla luce del valore semantico attribuito all'espressione intentio non adimplendi