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«Quante volte ho fatto scalpore» si compiace Arthur Cravan, un «colosso mistico» di quasi due metri per circa cento chili di peso, che sfidava sul ring pugili come Jack Johnson e Jim Smith, sosteneva (non del tutto abusivamente) di essere nipote di Oscar Wilde e dava conferenze (indossando, talvolta, solo un cache-sexe) in cui annunciava il proprio suicidio. Inoltre, sulle pagine della rivista di cui era editore e redattore unico (e che distribuiva andando in giro per Parigi con un carretto da fruttivendolo), osava pubblicare l'esilarante resoconto di una sua visita ad André Gide da cui, come affermò in seguito André Breton, il «venerato maestro» non si sarebbe mai più ripreso. Blaise Cendrars riconosce la sua influenza decisiva su Duchamp, Picabia e i membri del Cabaret Voltaire di Zurigo, dichiara che «raccontare la vita di Arthur Cravan a New York equivale a far la storia della fondazione del dadaismo» e rende omaggio all'«immenso talento del poeta», capace di «illuminazioni folgoranti, non meno profetiche e ribelli e disperate e amare di quelle di Rimbaud». Dopo aver letto i suoi scritti, seguiremo, con lo stupore di chi legge un romanzo di avventure, le vicende delle sua breve, tumultuosa esistenza, che Edgardo Franzosini ripercorre con il tono narrativo lieve e insinuante che lo contraddistingue.