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«... qualsiasi tentativo di inserire T.F. Powys tra gli epigoni del realismo è destinato a risultare vano o addirittura ridicolo non appena ci si renda conto che tutte le sue "storie" sono, in effetti, altrettante trasposizioni, in chiave di (apparente) verosimiglianza psicologica e sociale, di violenti schemi allegorici: che quel che conta, per lui, è soltanto o soprattutto il medioevale, insanabile dissidio tra Anima e Corpo, tra Bene e Male, e i suoi mercanti, preti, contadini, allevatori eccetera non sono tipi romanzeschi, ma prototipi o maschere di una sacra rappresentazione passata attraverso il setaccio laico della satira swiftiana». (Giovanni Raboni)