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Scritto nel 1926 e divenuto a partire dal dopoguerra immensamente popolare, "La danzatrice di Izu" è la storia dell'iniziazione di uno studente che, per scacciare i suoi «tormenti di ventenne», si mette in viaggio verso la penisola di Izu. Un viaggio - nei colori autunnali di boschi incontaminati, catene montuose e scoscese vallate - che lo segnerà per sempre, giacché, grazie all'incontro con una giovane artista girovaga, scoprirà la pura bellezza. Kaoru ha lunghe gambe che rendono il suo corpo simile a un giovane albero di paulonia, occhi magnifici, e quando ride pare che sbocci: ma soprattutto colpisce in lei la semplicità piena di stupore, il candore infantile nel mettere a nudo i sentimenti. Effimera, evanescente, ineffabile nella sua assoluta naturalezza, la bellezza è dunque - come ci rivelano due magnifiche conferenze del 1969 che costituiscono il secondo pannello di questo libro - 'ichigo ichie', cioè incontro unico e irripetibile, miracolosa combinazione di elementi insostituibili: come il prezioso tè che viene raccolto nella prefettura di Shizuoka la ottantottesima notte dopo l'inizio della primavera, capace di regalare eterna giovinezza, lunga vita e salute. Scoprire e registrare fugaci momenti di bellezza nell'arte, nella natura, nella vita di ogni giorno, e insieme la gioia e il dolore che suscita la sua impermanenza è precisamente, per Kawabata, la funzione della letteratura giapponese.