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Quando apparvero queste Storie, nel 1914, un giovane recensore, Robert Musil, mise subito in guardia i lettori. "Uomini di spirito positivo e donne dotate di forte caritas troveranno queste trenta piccole storie un po' troppo giocose. Ad esse sarà rimproverato di non dimostrare alcun carattere, di essere capricciose, di gingillarsi con la vita, anzi magari di non avere cuore e di lasciarsi impressionare da quella sbalorditiva determinazione con cui l'insignificante, per esempio una panchina in un giardino, talvolta occupa il suo posto nel mondo". Con quella ironica precisione che era per lui la socia inseparabile dell'anima, Musil ha accennato qui alla peculiarità di Robert Walser in un genere letterario, la "prosa breve", in cui oggi lo riconosciamo maestro. Ma le Storie non contengono soltanto campioni dìsparati di "prose brevi": almeno due testi, Kleist a Thun, e La battaglia di Sempach hanno una perfetta misura dei racconti. Il primo, nella sua tensione, quasi insostenibile, è forse l'unico testo del nostro secolo che sembra proseguire il Lenz di Bùchner; il secondo è una visione grandiosa, dove il sangue sgorga da araldici fantocci e il cozzare delle armi si blocca in un sospeso miraggio. Ma dietro la giocosità di Walser, dietro l'ingiustificata euforia che a tratti erompe nel le sue pagine, c'è qualcosa di immediatamente oscuro e delicato.