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Il rapporto tra linguaggio e realtà, tra scrittura e mondo, è oggi più che mai mediato da un uso massivo della tecnologia. Questa mediazione, così nutriente e vitale, non è tuttavia risolutiva di quei conflitti e di quelle difficoltà del rapporto tra il linguaggio, la scrittura e il mondo variamente messi in luce e indagati nel corso del Novecento da filosofi anche molto diversi come Wittgenstein, Foucault o Lyotard. In oltre trent'anni di fervida attività, il bolognese Gian Paolo Roffi ha studiato la problematicità di questo rapporto superando la riflessione estetica e sintetizzandola nella prassi artistica. Nasce così la "schizografia", una forma di scrittura verbo-visiva geometrizzante incentrata su tagli, scissioni e segmentazioni, metafore di quelle inevitabili crepe che spesso si generano tra le parole e le cose. Ai medesimi presupposti sono da ricondursi anche gli esperimenti voco-elettronici di Roffi, incentrati su ripetizioni lessicali e sintagmatiche ai limiti dell'ossessione, così come i suoi oggetti rivestiti di grafemi: libri, maschere, violini e stoviglie, "cose non dette" che, nella fantasia del poeta, si trasformano e assumono nuovi significati e nuovo valore estetico.