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Frutto di cinque lezioni tenute a Jena nel 1794, la "Missione del dotto" di Fichte è la più straordinaria descrizione moderna del ruolo dell'intellettuale, nella forma di un impegno condotto universalisticamente in rapporto diretto con l'idea di umanità e di emancipazione del genere umano tramite la prassi trasformatrice, secondo l'ininterrotto sforzo sociale orientato alla coincidenza tra Io e non-Io: ossia tra l'umanità pensata come un unico soggetto agente (Io) e le sue concrete oggettivazioni sociali, politiche e storiche (non-Io). Secondo un coerente sviluppo, sul piano sociale e politico, dei princìpi della "dottrina della scienza", il dotto della torre d'avorio, come mero tesaurizzatore del sapere, cede con Fichte il passo all'intellettuale come uomo che pensa e opera nella e per la società. Si perviene, così, al grande tema che attraversa l'opera fichtiana: la destinazione dell'uomo coincide con l'ininterrotto sforzo asintotico di raggiungimento della perfetta armonia con se stesso, ossia con il processo di razionalizzazione dell'esistente e di corrispondenza del genere umano con le proprie potenzialità ontologiche. Postfazione di Marco Ivaldo.