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Tra il 1914 e la pubblicazione di "Un anno sull'Altipiano" (1938) di Emilio Lussu, scrittori, giornalisti, saggisti e memorialisti danno vita a una grande narrazione del conflitto: un racconto corale e multiforme, che risponde di volta in volta al frangente storico, agli intenti politici e al contesto sociale di riferimento. L'immagine della guerra muta di conseguenza sensibilmente nel corso degli anni, se non addirittura dei mesi, e gli stessi caratteri di orrore e di assurdo, a cui associamo la tragedia del primo conflitto mondiale, non sono affatto scontati, ma costituiscono l'oggetto di un acceso dibattito. Riletto sulla base di questa evoluzione, e posto a confronto con altre forme di scrittura, colta e popolare, il canone della letteratura di guerra assume una luce inedita. Per temi e modalità rappresentative, il racconto del conflitto svela d'altra parte radici ottocentesche, che resistono nella terra desolata di una guerra industriale e di massa. Emergono allora linee narrative inaspettate, dove il militarismo può velarsi di sentimentalismo, e alla Grande Guerra nella versione del regime, erede della tradizione sabauda, se ne contrappone una antifascista, che raccoglie la lezione repubblicana.