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Se Virgilio non avesse scritto le Bucoliche, fidando nella sua audace giovinezza, il cammino della poesia occidentale sarebbe stato assai differente. Subito lettissime, imparate a memoria, studiate, le ecloghe vivono di suoni, descrivono frammenti di paesaggi e di vita rustica, parlano di boschi, greggi e amori e al contempo riescono a evocare la dimensione del mito. Il misterioso Sileno, Titiro e Melibeo, Dafni sono tutte figure che hanno la concretezza del gesto e della parola, ma che pure si muovono in uno spazio attraversato dalla divina forza del canto, in una natura che risuona e partecipa dei sentimenti umani: e allora il puer, l'astro di Cesare, il dio della prima ecloga divengono essi stessi vividi, evidenti. Ma Virgilio ha voluto anche distogliere lo sguardo dai simboli e dai miti, dal canto che è quasi magia: e ha visto la guerra, il dolore, l'esilio. Se Roma, con gli dei che la abitano, appare come una luce salvifica, essa è pur sempre parte di un meccanismo, o forse di un caos, che ha portato all'ingiustizia. Testo profondamente "augusteo", le Bucoliche sono state pensate e scritte in un'epoca dai caratteri ancora molto incerti, prima che Augusto fosse soltanto immaginabile. Anzi, Virgilio ha contribuito ad inventare l'età augustea.