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Oggetto di questo volume è il controverso dibattito sulle cosiddette "fonti orientali" di Dante. Vengono qui indagate le premesse ideologiche e i motivi di suggestione mitico-estetica dell'interesse per i "fatti di trasmissione culturale" tra Medioevo europeo e mondo arabo-islamico. I capitoli in cui si articola il testo si confrontano con l'approccio di tre diversi studiosi: Enrico Cerulli, Ernst Kantorowicz e Leo Spitzer. Degli interventi di Enrico Cerulli, che rinnovarono sostanzialmente gli studi dell'islamista Miguel Asín Palacios, vengono sottolineati i presupposti "pragmatici" e politici. Il loro sfondo storico è infatti il colonialismo italiano e la successiva decolonizzazione. Nel caso di Kantorowicz, di cui vengono tradotte pagine inedite dalla tesi di dottorato sulle gilde islamiche, il rapporto tra l'Oriente islamico e Dante ("erede" di Federico II) è invece una suggestione orientalista solo accennata ma rilevante. Essa va ricollegata al revival nel primo Novecento tedesco dell'idea di impero. In Kantorowicz l'impiego di questa nozione si tinge di valenze universaliste, attraverso il riferimento a Dante, a Nietzsche, al Mediterraneo e all'Oriente. Come emerge dal capitolo dedicato a Spitzer, il dibattito è segnato da una suggestione utopica: quella di una possibile sintesi tra universi altrimenti antagonisti.