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Le opere di Gramsci, in primo luogo i "Quaderni del carcere", si presentano come un "laboratorio", una "officina", uno "zibaldone": anche se nascondono un "pensiero forte", una "concezione del mondo" organica, le particolarissime condizioni nelle quali vennero scritte ne fanno un insieme di non semplice decifrazione. Il particolare linguaggio dell'autore, inoltre, che tende a usare, spesso metaforicamente, vecchie espressioni per intendere nuovi concetti e fornire strumenti atti a leggere un mondo con tratti nuovi e inediti, rende difficile la comprensione reale del lascito gramsciano, su cui non a caso si sono accumulati strati interpretativi a volte fuorvianti.