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Queste pagine rivelano il volto meno noto del Pascoli lettore e interprete dei classici, archetipi inesauribili da vivificare secondo il programma poetico dell'"antico sempre nuovo". È una classicità sorprendentemente moderna, rivissuta in una dimensione intima, si direbbe umbratile, per riattingere l'innocenza primigenia. E proprio nel connubio originario di antico e natura il poeta scopre il "meraviglioso mormorio" emulato dal canto, voce primordiale che riecheggia nell'eternità. Ma il mito dell'ingenuità aurorale appare ormai turbato dal senso del vuoto, vertigine del nulla che sembra anticipare l'inquietudine novecentesca.