Tab Article
Nel 1925, il ventisettenne William Faulkner si trasferì a New Orleans per dedicarsi a tempo pieno alla letteratura, dopo aver lasciato il lavoro di ufficiale postale. Fu la svolta della sua vita e il punto di non ritorno della sua scrittura. Fino ad allora, Faulkner si era occupato quasi esclusivamente di poesia, ma nei sei mesi trascorsi in città pubblicò racconti e brevi schizzi sul quotidiano Times-Picayune e sulla rivista The Doublé Dealer, che accoglieva tra i suoi autori Ernest Hemingway, Sherwood Anderson ed Ezra Pound. "New Orleans sketches" - un classico del catalogo del Saggiatore - raccoglie sei di questi racconti, scritti con uno stile scabro e magnetico, con un'esattezza che sfiora la brutalità: è il seme da cui germoglieranno capolavori come "L'urlo e il furore" - scritto solo quattro anni dopo -, "Mentre morivo" e "Luce d'agosto". Vi si ritrovano lo stesso simbolismo, gli stessi riferimenti alla Bibbia, alla vita di Cristo, alla francescana «sorellina morte». Si riconosce quel microcosmo di un'America agraria e ancestrale popolata da contadini, marinai e piccoli delinquenti. Leggere i "New Orleans sketches" significa osservare il turbinio di un mondo che sta per essere travolto, in precario equilibrio tra una natura opulenta e imperscrutabile e una modernità ferina. È il mondo esplorato e ricreato da Faulkner, dipinto con tratti rapidi, di una nitidezza che prelude alla successiva frantumazione del linguaggio, dove il pianto per un narciso spezzato può sovrastare le grida della folla e le rondini corrono deliranti tra le mimose; dove i vecchi hanno «imparato che vivere non soltanto non è gioia o passione ma nemmeno, particolarmente, dolore».