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Un fantasma si aggira per il XX secolo: ha i capelli rossi e sparati di Johnny Rotten, il monocolo di Tristan Tzara e lo sguardo visionario di Guy Debord. Chiamatelo Cabaret Voltaire. Chiamatelo potlatch. Chiamatelo punk. È la critica radicale e corrosiva alla società contemporanea, è il sovvertimento di ogni cultura ufficiale, è la palingenesi al vetriolo della musica rock. Tra il 1957, l'anno di nascita dell'Internazionale Situazionista nella piccola Cosio d'Arroscia, e il 1976, quando una scalcagnata band messa insieme dall'astuto proprietario di un negozio di abbigliamento sadomaso incide «Anarchy in the UK», non passano nemmeno vent'anni. Eppure tanto basta perché i semi gettati da surrealisti e dadaisti, e poi annaffiati dal situazionismo nel Maggio francese, germoglino nell'inno ufficiale della controcultura e della ribellione giovanile grazie a Malcolm McLaren e ai Sex Pistols. Greil Marcus ci riporta là, tra le provocazioni dei lettristi e le prime creste del punk, a cercare di ricostruire cosa spinse le nuove generazioni di quegli anni a dare vita a linguaggi rivoluzionari, estetiche provocatorie e stili di vita controcorrente. Quella di Marcus è una storia alternativa del secolo breve narrata attraverso le sue avanguardie: un racconto eccentrico e appassionante in cui si mescolano musica e immagini, "Never Mind the Bollocks" e Manifesto dadaista, Saint-Just e Michael Jackson, l'Inghilterra del Dopoguerra e la Parigi del Sessantotto. Con "Lipstick traces" il Saggiatore ripropone un classico della critica musicale contemporanea. Un errabondo viaggio attraverso il milieu elettrico del punk. Un'opera che indaga le connessioni underground tra le decadi, i movimenti e le forme artistiche del Novecento. Il tentativo di rendere il giusto tributo a quei quattro sfrontati ventenni che osarono gridare che Dio non può salvare la Regina, tantomeno noi. Ma che forse l'anarchia, almeno per un po', può provare ad aiutarci.