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Quando, agli inizi degli anni settanta, Botho Strauss si trova a fare i conti con la morte del padre, la prima reazione è: silenzio. Nel tempo scrive "Origine", rispondendo a un'urgenza che, trasposta sulla pagina, ha la forma di un fluire di parole che mal sopporta di irreggimentarsi in una struttura sintattica - punti, virgole, periodi rivelano la loro nuda arbitrarietà davanti a un dolore inqualificato e inqualificabile. Scrive ma non pubblica: conserva invece il manoscritto, per quarant'anni lo modella perché i contorni, pur senza perdere la spigolosità scabra della prima stesura, assumano la nitidezza e guadagnino la sorvegliatezza che sono destinate a diventare le qualità più celebrate della sua prosa. Scrittore e drammaturgo fra i più importanti del secondo Novecento, nel confrontarsi con una perdita così oscena da non poter essere affrontata che per lampi, Botho Strauss rievoca dapprima i vestiti distinti del padre, l'attenzione scrupolosa alle buone maniere, la rispettabilità borghese dei rituali domestici, la disciplina divenuta da carattere intima essenza, la serietà nell'avvicinarsi al lavoro e alla scrittura. Solo in un secondo momento l'indole si fa corpo: allora lo sguardo di Botho Strauss si posa sulle mani del padre, grandi, ferme, e le mani salgono a coprire un volto solcato da rughe, con l'occhio coperto da una benda - eredità della Prima guerra mondiale - che lo fa rassomigliare a Odino, incarnazione di uno spirito germanico che è solidità, fermezza, orgoglio.