Tab Article
Nel 1913 Ambrose Bierce, scrittore e giornalista statunitense ormai settantenne, noto per un pessimismo tanto radicale e beffardo da valergli il soprannome di Bitter, "l'amaro", scrisse agli amici parole d'addio, entrò in Messico attraversando il Rio Grande e - si dice - si unì alle truppe rivoluzionarie di Pancho Villa, per poi svanire nel nulla. Il mistero della sua scomparsa ha affascinato generazioni di scrittori, e il suo mito rivive nell'abbagliante immaginazione di Carlos Fuentes. Una morte gloriosa, anche se per una causa in cui non crede: a questo aspira Bierce, gringo vecchio e tormentato, montando una cavalla bianca sotto il sole arrabbiato e il vento crudo del deserto di Chihuahua. Terre abbandonate, fangaie, saline, vecchie miniere. Terre di indios non sottomessi, spagnoli rinnegati e disgraziati ladri di bestiame. Lo assillano i ricordi della guerra civile - Nono Reggimento dei Volontari dell'Indiana -, e la frivola civiltà nordamericana continua a solleticare il suo glaciale cinismo, già spinto al parossismo dalla tragica perdita di due figli. Meglio dunque morire per mano d'altri che di vecchiaia o di suicidio. Meglio la rivoluzione. In Messico il gringo vecchio entra in contatto con Tomás Arroyo, giovane generale di Villa, arrogante e passionale, e con Miss Harriet Winslow, compatriota ingenua e testarda che si ostina a non abbandonare l'hacienda dove è stata chiamata come insegnante, persino dopo la fuga dei proprietari.