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Fallite le politiche di ingerenza dei paesi occidentali, che hanno persino teorizzato l'esportazione della democrazia attraverso l'uso delle armi, è tempo di diffondere su scala mondiale la cultura del dialogo e dell'inclusione. Questa è la tesi di "Cittadini del mondo", il nuovo saggio di Daniele Archibugi, uno dei più autorevoli sostenitori del cosmopolitismo democratico. Solo un'utopia per ingenui idealisti, o l'unica strategia attuabile per affrontare le grandi sfide della globalizzazione? L'urgenza di una risposta cresce con l'escalation della violenza globale. Le speranze con cui si è chiuso il secolo scorso - la caduta del Muro di Berlino, l'abolizione dell'apartheid in Sudafrica o la sconfitta della dittatura in diversi paesi dell'America Latina - avrebbero potuto condurre a una espansione pacifica della democrazia. Il nuovo millennio, invece, si è aperto sotto cattivi auspici e la guerra o tornata lo strumento quotidiano per gestire i conflitti. Come i suoi principali ispiratori - Norberto Bobbio, Amartya Sen e Jürgen Habermas - Archibugi propone il rafforzamento e la riforma degli organismi internazionali esistenti, a partire dai macchinosi ingranaggi dell'Onu e della Corte penale internazionale, la creazione di istituzioni nuove, come il Parlamento mondiale, e una progressiva armonizzazione degli interessi nazionali con le esigenze della comunità globale.