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"Le panchine scompaiono e io da tempo compongo il catalogo di quelle che ho amato. Quelle del Parco Ducale di Parma, dove guardando gli alberi e la gente scrissi le mie prime poesie. Le panchine delle piccole piazze di Parigi, o sui boulevard, e quelle romane del cimitero dei poeti al Testaccio. Di recente a Ginevra mio figlio, che lì va a scuola, mi ha mostrato un suo luogo segreto. Era nella via più trafficata del centro. Due panchine di legno marrone, vuote, in prossimità della fermata del tram. Gli ho sorriso felice". Simboli della soglia, sottili frontiere tra dentro e fuori, le panchine - scacciate dal mondo reale - trovano ancora rifugio altrove. Fioriscono nella letteratura, dalla amara panchina beckettiana di Primo amore a quella dolente delle Notti bianche di Dostoevskij; imperversano nel cinema, innumerevoli come nelle surreali avventure dei vagabondi Stan Laurel e Oliver Hardy, o intense come quella su cui Ed Norton trascorre l'ultimo giorno di libertà in La 25a ora di Spike Lee. E a volte parlano, come accade con Les Murmures, panchina sussurrante installata da Christian Boltanski nel 14° arrondissement parigino. Quanti universi, in una panchina.