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Guardare alla poesia novecentesca attraverso il filtro impuro, frastagliato e mosso degli archivi autoriali ed editoriali, significa considerare che le parole della poesia prendono sempre forma e vita nella interazione intensa e spesso conflittuale con altre parole. Mai come in un archivio è così tangibilmente evidente che il «lavoro del poeta», a dispetto di ogni supposta separatezza e autonomia, è già sempre innervato da un brulicante reticolo di relazioni dialogico/responsive con altre soggettività, altre intenzioni e attese. L'archivio si fa così luogo d'osservazione privilegiato della capitale tensione che si istituisce fra progetti autoriali e processi editoriali: tra l'intenzionalità creativa di chi scrive, nella sua complessità di armoniche, doppifondi, interne contraddizioni; e le specifiche intenzionalità messe in gioco dalle tante figure e strutture deputate a mediarne la socializzazione. È anche così che si declina e manifesta quella peculiare forma di ascolto dell'altro che è l'immaginazione poetica: nella progressiva messa a fuoco di un destinatario da raggiungere, al quale orientare la doppia natura di risposta e appello dell'opera. Rilanciando l'idea di cultura modernamente plurale e policentrica che informa un archivio come il Centro Apice della Statale di Milano, il seminario annuale "I poeti di Apice" - di cui questo volume restituisce il primo esito -, intende farsi occasione per questa sfida. I saggi qui raccolti la affrontano con nitidezza di sguardo e varietà di approcci, mentre ci offrono uno scheggiato percorso attraverso i laboratori di alcuni protagonisti del nostro secondo Novecento poetico: da Eugenio Montale a Vittorio Sereni, da Giovanni Giudici a Antonio Porta a Remo Pagnanelli.